INTRODUZIONE ALL’ESTERNO
La chiesa di San Cristoforo è all’angolo tra Via Giovanni Acerbi e Via Giulio Romano; era connessa al convento, che si sviluppa su Via G. Romano e gira in via Nazario Sauro. L’intero complesso, di proprietà del Demanio Militare, è attualmente data in concessione all’Associazione Amici di Palazzo te e dei Musei Mantovani, che si è impegnata in un progetto di recupero e di valorizzazione culturale del luogo.La parte dell’ex convento è tuttora abitata e ospita diciassette appartamenti riservati al personale dell’esercito, mentre la chiesa di San Cristoforo è chiusa e in stato di grave decadimento.
L’edificio religioso si colloca sul cosiddetto “Percorso del Principe”, l’asse viario che dal Palazzo Ducale porta al Palazzo del Te.
La storia della chiesa di San Cristoforo è legata a quella dell’Ordine dei Celestini, ma non si esaurisce in essa. I Celestini devono il loro nome a Pietro da Morrone, papa Celestino V, noto per la sua rinuncia al papato, il 13 dicembre 1294, dopo cinque mesi e 8 giorni dalla nomina. La compagnia dei Celestini, legata all’Ordine dei Benedettini, viene approvata nel 1263; i frati indossano una tonaca bianca con lo scapolare, cappuccio e cocolla neri e sono dediti, soprattutto fino ai primi decenni del Seicento, al pauperismo integrale. Un primo nucleo della chiesa pare nasca agli inizi del IX secolo, nell’ 828 secondo lo storico Amadei ed entro l’839 per lo storico Donesmondi: si tratta di un oratorio, dedicato a Sant’Anna, che nel 1273 (o 1274) viene concesso a Pietro da Morrone per ospitarvi i suoi monaci, poi detti ‘Celestini'.Questo luogo di culto diviene successivamente la cappella di Sant’Anna all’interno della chiesa di San Cristoforo, cui alludono documenti del secondo decennio del Quattrocento, quando essa gode di particolari cure da parte dei Gonzaga e, soprattutto di Paola Malatesta Gonzaga.
Nel 1415 è documentata l’esistenza, all’interno del complesso, anche di un ospedale, e negli anni immediatamente successivi è stata datata la prima ricostruzione della chiesa. L'analisi morfologica della chiesa porta a posticiparne l'erezione alla seconda metà del Quattrocento, e non soltanto per l'atipicità del saliente centrale, che contrasta con gli esempi locali di architettura tardo-gotica ancora esistenti: Santa Maria degli Angeli e Santa Paola, con facciata a capanna. Se prendiamo in esame gli archetti pensili che girano sull’esterno della chiesa, notiamo che si tratta di archetti trilobati con mensole fortemente sgusciate e, nei peducci, una decorazione fitomorfa. Di simili si riscontrano in varie fabbriche la cui datazione oscilla dal 1440 circa (San Benedetto in Polirone) alla fine del secolo.
I confronti più stringenti sembrano da farsi con le formelle in cotto della chiesa di Santa Maria della Vittoria, che viene costruita verso il 1496 e con la quale sembrano significative le somiglianze, più che le differenze.Il portale lapideo a tutto sesto poi non può datarsi prima degli anni Settanta, poiché già pienamente rinascimentale: è purtroppo in uno stato di conservazione che non consente un giudizio più preciso sulla manifattura.
La chiesa di San Cristoforo è databile al 1480 circa, nonostante i caratteri formali decisamente arretrati, se pensiamo che all'epoca era in costruzione la basilica di Sant’Andrea. Un manoscritto del 1675 reca alcune annotazioni relative alla storia della chiesa e alle sue trasformazioni. Veniamo così a sapere che «Adì 6 maggio 1519 si fabricò la sacristia con denari retratti dalla vendita di 2 biolche» e a margine trovo la più tarda aggiunta: «l'anno 1712 fu demolita detta sagristia, come difforme et augusta». Questa breve cronaca ci informa anche che nel 1536 «fu fabricato il claustro, che fa muragli all'horto verso il largo, e fu speso per ciò lire 384 item 46» e che nel 1542 «si comprò un organo per lire 112:7», ampliato poi nel 1544; nel 1545 sorse il refettorio «con le stanze di sopra»; nel 1595 il padre Archangelo Amici fece costruire il campanile; la cappella dei Santi Celestino e Benedetto fu fabbricata nel 1632 da padre Francesco Marcello. La guerra e la peste de1 1630 pare che abbiano ucciso tutti i frati che abitavano nel convento.
In quanto al campanile, parzialmente abbattuto nel 1839, va detto che la sua base appartiene alla stessa fase quattrocentesca cui si data il corpo di fabbrica (1479 circa) e che non vi si legge alcuna traccia architettonica tardo-cinquecentesca. L'esterno ci appare tuttora nella sua facies del xv secolo, nonostante la modifica di alcune finestre, tipologicamente settecentesche, e la copertura con intonaco del parato laterizio originale.
Nel 1775 i Celestini cedono la chiesa di San Cristoforo agli Olivetani, che vi si trasferiscono da Santa Maria del Gradaro, (il cui convento venne demanializzato), e si spostano a Milano e Magenta; l’annesso convento di San Cristoforo viene allora ristrutturata, verso la fine del secolo XVIII, su un progetto di Paolo Pozzo, concretamente realizzato dal veronese Antonio Colonna, come attesta un documento d'archivio; all'architetto si deve senz'altro il rinnovamento del convento, che oggi su Via Giulio Romano presenta un lungo fronte stradale con due livelli di finestre rettangolari, divise orizzontalmente da una cornice marcapiano. Il portone su Via G. Romano introduce a un androne passante, fino al giardino posteriore, che distribuisce sui lati ai due cortili interni.
Al Colonna (1753-1799) spettano i progetti della pieve di Castellucchio (nella quale è una pala di Felice Campi), della sua stessa casa (corso Vittorio Emanuele, 63) e soprattutto di Palazzo d’Arco; anche nel caso del convento degli Olivetani in San Cristoforo il suo linguaggio è neo classico, senza particolare interesse, ma non privo di discrezione nell’inserimento all'interno del contesto urbano.
Sempre nel XVIII secolo anche l’interno della chiesa viene ampiamente ristrutturato e nuovi corpi di fabbrica vengono aggiunti. Un primo restauro avviene per volontà dei Celestini entro il primo decennio del Settecento. La sagrestia, come detto, risale a non prima del 1712 e può collegarsi alla stessa fase edilizia; esiste tuttora, in stato di abbandono. Gli interventi settecenteschi non hanno cancellato l'originale struttura architettonica del tempio, che si presenta a tre navate, con le minori più basse, separate da archi a tutto sesto su pilastri dalla navata centrale.
La decorazione interna, della quale rimangono ancora tracce, oscilla invece tra il Cinquecento e il Neoclassicismo. A essere precisi, del XVI secolo rimangono solamente tenui tracce di affreschi sulle pareti, riferibili a finte architetture o a sepolcri. L'aspetto tardo-barocco e neoclassico è predominante nelle decorazioni a stucco e negli affreschi superstiti nel presbiterio, ragionevolmente riferiti a Felice Campi e raffiguranti Allegorie cristiane. Lo stato di conservazione dell'interno del tempio, adoperato nel Novecento come officina, laboratorio e bottega, è triste; cornici in stucco alle pareti ricordano la presenza di un arredo liturgico e di pitture.
Il declino di San Cristoforo inizia attorno al 1800. Poco dopo le ristrutturazioni neoclassiche, la chiesa è occupata dalle benedettine di San Giovanni delle Carrette, che vi sono documentate nel 1808, ma in breve viene definitivamente chiusa al culto: i dipinti e le pale d'altare lì contenuti vengono venduti e così anche il resto dell'arredo.
Probabilmente gli stalli del coro scomparvero nel 1798. Il 21 maggio di quell'anno don Remigio Tirelli, parroco di San Gervasio, domandava «in gratuito dono» per la propria chiesa l'altare maggiore in legno inverniciato quale presentesi debba levarsi dalla chiesa del monastero di San Giovanni» e «il coro di legno della chiesa sopressa delli Olivetani», che ottiene probabilmente a pagamento. In San Gervasio l'attuale coro ligneo è datato però al XIX secolo e non facilmente riconoscibile con quello di San Cristoforo. I marmi che ornavano questa fabbrica vengono asportati e poi alienati: nel 1811 quelli che originariamente formavano la balaustrata sono acquistati dal fabbriciere e dal parroco di Buscoldo, mentre alcuni marmi sono comprati da un signor Fontana, che è probabilmente il lapicida Domenico Fontana.Sull'esterno qualche traccia di decorazione riaffiora nel 1960 in seguito alla caduta di una lastra di intonaco, ma purtroppo nulla ora è visibile di quell’«affresco di fine fattura, presumibilmente opera risalente al tardo ’400 od ai primi anni del secolo successivo», allora emerso per la caduta di un intonaco sovrapposto, e raffigurante «una Madonna, con il capo reclinato verso destra, affiancata da due Santi».
Le opere d'arte e le cappelleNon poche sono le notizie sulle opere d’arte transitate in San Cristoforo, anche se vanno recuperate quasi esclusivamente tra documenti d'archivio o bibliografie sfuggiti agli studi locali.
Un inventario della chiesa del 1564 dà, purtroppo, solamente conto di quanto conservato in sagrestia e negli ambienti dei frati. La visita pastorale del 2 gennaio 1576 non dà molte informazioni in più sull'arredo interno della chiesa: menziona sull'altare maggiore un quadro rappresentante San Cristoforo, probabile opera di Giulio. Il visitatore apostolico descrive l'altare di Sant’Anna, il primo sulla destra, privo di ornamento. In fase di completamento è l'ornato dell'altare del Crocifisso, e un altare della Purificazione della Vergine. Di quest'ultimo altare abbiamo una documentazione su cui vale la pena soffermarsi: il 5 gennaio 1558 i Celestini concedono a Ludovico Colombo il ‹locum seu capellam dominae Sanctae Mariae Purificationis seu Ceriolae», che questi si impegna a decorare, evidentemente con un'immagine della Presentazione di Cristo al Tempio, ovvero la Purificazione della Vergine, la cui festa (2 febbraio) è detta anche popolarmente ‘Madòna serioela’ o ‘Candelora’ poiché vengono anche benedette le candele. In un atto notarile del 10 gennaio 1591 la cappella sembra già ornata e finita. Il dipinto, che potrebbe essere stato realizzato nell'ottavo decennio del Cinquecento, viene successivamente descritto come opera di, o della maniera di Lorenzo Costa il Giovane (1535-1583).
Un manoscritto del 1765 fornisce interessanti dati sullo stato della chiesa a quella data. Sopra l'Altar maggiore vi era un ciborio «di bella architettura. Nel coro cita l'immagine del San Cristoforo senza riuscire a datarla né tanto meno a darne l'autore, ma la descrive «di buonissima mano, con cornici indorate›; menziona poi il primo altare a destra».
Nel 1775 viene stilata la cessione della chiesa e del monastero ai monaci Olivetami di santa Mara del Gradaro, che include anche una descrizione della nostra chiesa, di un certo interesse. All'altar maggiore è sempre il San Cristoforo giuliesco; sui cinque altari di sinistra si susseguono delle tele rappresentanti il Crocifisso, la Purificazione, Sant’Antonio di Padova e San Girolamo, ma v'è anche una statua di Santa Barbara; sul lato destro vi sono invece solo quattro altari: il primo ha una tela con Sant'Anna, il secondo una tela con l’Annunziata, il terzo una tela con la Fuga in Egitto, il quarto una tela col Martirio Santa Caterina d'Alessandria.
Per quanto riguarda la pala dell’altare maggiore, il San Cristoforo, l'Oretti sembra propendere per l’attribuzione a Giulio Romano, sulla base della scritta che documenta anche la realizzazione di una nuova cornice nel 1712, tre anni dopo i restauri della chiesa promossi dallo stesso abate Giulio Oddo Romano, quasi omonimo dell'artista cinquecentesco. La pala giuliesca, per inciso, è restaurata poi da Felice Campi entro l'aprile 1793. Non ne esiste alcuna testimonianza grafica.
È tuttavia interessante sapere che i Celestini non portarono via con loro il dipinto, ma lo lasciarono al suo posto, sull’'altar maggiore della chiesa.
La “Pianta della Regia Città di Mantova” redatta da Giuseppe Raineri nel 1831 e data alle stampe in una seconda edizione rivista e aggiornata nel 1865, ha la particolarità di ben rappresentare in sezione planimetrica (piano terreno) tutti gli edifici di valore che c’erano della città, ed è accompagnata da una legenda che descrive il nome e l’uso di ciascuno di essi . Il Monastero di S. Cristoforo è contrassegnato con il n. 12 come “Regio Stabilimento Militare di Direzione e Amministrazione del Genio”. E’ quindi un edificio utilizzato come sede di uffici amministrativi militari. In questo ha seguito il destino di tanti conventi mantovani che, negli anni di dominazione francese a Mantova (1797-1814), sono stati sconsacrati, saccheggiati e riconvertiti in strutture con funzioni militari ( ospedali, caserme, carceri, magazzini alloggi per le truppe, uffici amministratici ecc…). Nel 1839 fu parzialmente demolito il campanile. Con l’Unità d’Italia (1866 per Mantova che era annessa al Regno lombardo Veneto/1861 nel resto d’Italia) il complesso di S. Cristoforo è passato di proprietà del Demanio Militare.Durante il periodo della Repubblica di Salò, il Convento di S. Cristoforo diventò parte della caserma della brigata nera Marcello Turchetti e, infine, sistemazione d’emergenza per le famiglie rimaste senza tetto per i bombardamenti anglo-americani. Nel dopoguerra la chiesa ospitò una bottega e laboratorio di mobili d’antiquariato Carlo Dusi, fino al 1999, quando l’attività si trasferì e l’ex chiesa chiuse i battenti.
Le informazioni sono desunte in gran parte dal testo di Stefano L’Occaso, pubblicato ne “ I Quaderni di S. Lorenzo”(Asssociazione Monumenti Donnenicani, Mantova, 2009).